RiEvoluzione Poetica

lunedì 5 ottobre 2015

MARCOS VINICIUS, il seminatore di note


Il grande chitarrista classico brasiliano sarà a Roma presso l’AIMART, l’Accademia di Musica e Arti.

di Marco Cinque

 

In musica una nota è una nota: un “do” è sempre un “do”, un “sol” è un”sol”, così come il pentagramma che le ospita è ogni volta immancabilmente il medesimo, composto da cinque linee parallele. Quando ascoltiamo o eseguiamo un brano da uno spartito, quindi, non dovrebbe esserci nulla che metta in discussione tale principio; ma se questo è l’unico dettato che determina e su cui si basa l’universo sonoro, allora la musica stessa si riduce a un freddo calcolo matematico incapace di sorprendere, meravigliare, emozionare, inventare e reinventarsi.
Può sembrare strano eppure, anche in quella che ci sembra una singola nota, esatta ed assoluta, vivono invece un’infinità di mondi e sfumature capaci di renderla ogni volta unica, inimitabile, uguale eppure diversa sia da quella precedente che da quella successiva. Qui entra in gioco la capacità dell’essere umano che, pur se meravigliosamente imperfetto, a differenza di un dispositivo meccanico o elettronico, è capace di dare ad ogni componimento scritto una sua propria specifica lettura. Ciò significa che l’artista non esegue semplicemente come un registratore, ma interpreta con la sua sensibilità l’assieme di spazi sonori che, unitamente agli spazi di silenzio, generano la complessità della musica stessa, unendola simbioticamente a quella propria che abita la sua anima e il suo spirito.
Ho avuto il privilegio e la buona fortuna di incontrare e ascoltare artisti che, senza la necessità di alcuna spiegazione o specifica lezione, mi hanno trasmesso questa consapevolezza, senza la quale la musica si ridurrebbe a mera esecuzione, la poesia a un esercizio di scrittura e ogni altra forma di arte a un’occasione per mostrare il proprio ombelico, come se questo fosse il centro del mondo.
Uno di questi è Marcos Vinicius, un musicista, virtuoso, compositore, concertista, educatore a cui tutte queste definizioni vanno comunque strette e non rivelano il suo autentico spessore. Passione e dedizione, estasi e fatica fanno di Marcos un artista che non marca alcuna distanza tra la sua musica e la sua vita. Lui è la sua musica e viceversa, in un equilibrio variabile che va continuamente nutrito e curato e che non permette mediazioni strumentali o distrazioni sterili, pena il decadimento del sacro fuoco che lo rende una sorta di “poeta-contadino” della chitarra classica, poiché da una parte sonda gli sprofondi dell’animo, mentre dall’altra semina quotidianamente tra le giovani generazioni.
La sua opera febbrile costituisce per lui un’urgenza, necessaria come il mangiare, il bere e il respirare. Quando interagisce col pubblico, con gli studenti, col mondo che lo circonda, Marcos stabilisce un percorso di reciprocità che annulla le distanze, le barriere e persino le convenzioni riposte nei ruoli, riportando la musica nel suo alveo più alto: quello che fa di noi degli esseri umani ancora degni di chiamarci tali.
Marcos non ama le etichette generalizzanti, i facili stereotipi: pur se brasiliano infatti lui rifugge il cliché della “brasilianità”, come non permetterebbe mai, anche se attualmente vive in Italia, quello dell’”italianità”. Questi luoghi comuni, che determinano un’appartenenza o una sorta di campanilismo, se da un lato renderebbero materialmente più conveniente e redditizia la sua carriera professionale, dall’altro toglierebbero alla sua musica quell’universalità che è il suo faro, il suo viaggio, il suo approdo.
Da quando, a soli otto anni, ha incontrato la sua prima chitarra, Marcos ne ha fatto lo strumento per coltivare il proprio spirito e per donarne poi i germogli. Da allora quel bambino continua ad abitarlo, a tenerlo per mano, a condurlo e a farsi condurre e persino il suo volto di uomo maturo ha saputo mantenere quello sguardo ingenuo e pieno di sogni. So che il rispetto e il pudore gli impongono il sorriso, che è ciò che Marcos mostra al mondo, ma so pure che dietro quel sorriso così dirompente si cela un tormento, un disagio profondo e reale che lui cerca di curare con la medicina della musica. È il dolore che lo apparenta all’altrui dolore, quello degli ultimi, degli sconfitti, degli invisibili. Un dolore che lo porta tra i detenuti, al fianco dei bambini che le società ricche e opulente lasciano morire di fame, vicino alle donne abusate, ad impegnarsi in prima persona per i diritti umani violati. “L’avere il cuore infranto è l’inizio di ogni vera accoglienza”, scriveva il grande poeta statunitense Jack Hirschman, ed è proprio in questi versi che io riconosco lo spessore umano e artistico di Marcos.
Purtroppo siamo alle soglie di un mostruoso decadimento socioculturale, e un nuovo medioevo quindi si prospetta; i segnali che lo rivelano purtroppo sono evidenti: “con la cultura non si mangia”, è infatti il leit motiv di questi ultimi governi. Ne conseguono tagli spietati all’unico patrimonio che potrebbe alimentare e mantenere l’intero Paese. Le prospettive nefaste di un mondo senza arte né cultura trasformerebbe inevitabilmente le persone in involucri di carne ed ossa, consumatori e consumati facilmente controllabili e gestibili dal despota di turno. Invece di promuovere e incentivare le uniche vere risorse che abbiamo in Italia, si sacrifica tutto ciò che c’è di buono sull’altare del sacro business: la scuola pubblica è umiliata, le accademie decadono, lo storico conservatorio romano non seguirà più il Pe-accademico, le iniziative culturali più sensate vengono spazzate via dalle becere logiche del profitto. Come porre un argine a tanto crescente degrado?
Nel suo piccolo Marcos, assieme ad altri illustri esponenti della musica e dell’arte tutta, sta attualmente tentando di porre un freno a questa inarrestabile deriva, attraverso l’adesione al progetto AIMART, cioè l’Accademia di Musica e Arti fondata proprio dall’ex direttrice, sia del Conservatorio di Santa Cecilia che della didattica al Teatro dell'Opera di Roma, Edda Silvestri, che assieme al regista Francesco Antonio Castaldo sta sperimentando un’alternativa concreta e possibile al deserto lasciato dalle disgraziate scelte governative.
L’AIMART costituirà un’opportunità a prezzi accessibili, con una formazione didattica guidata da artisti di assoluto rilievo, che formeranno praticamente in tutte le discipline: dalla musica al canto lirico, fino al teatro, cinema e danza. In questo nuovo avamposto di resistenza culturale (la sede è a via Bachelet, 12) della capitale, Marcos Vinicius sarà una delle colonne portanti, che tenterà in ogni modo di far rinascere la fenice dell’arte dalle ceneri delle insulse politiche mercantili.
Un essere umano deprivato della bellezza che nutre il suo spirito, è destinato a diventare inevitabilmente un essere disumano.
Buon viaggio dunque, caro Marcos, in quella che sarà una delle poche “guerre” che vale davvero la pena di essere combattuta: imbracciamo le nostre chitarre, i nostri flauti, armiamo le nostre voci, carichiamo i nostri corpi e affrontiamo questa barbarie con tutta la bellezza riposta nelle nostre menti e nei nostri cuori… infranti, naturalmente.